Akròama
IL DESERTO DEI TARTARI
da Dino Buzzati
Riduzione teatrale
Guido Davico Bonino
Con
Valeriano Gialli / Drogo
Marcello Enardu / comandante Ortis
Raffaele Chessa / medico
Gianni Loi / sarto
Marco Pisano / Simeoni
Scenografia
Valentina Enna
Costumi
Marco Nateri
Musiche a cura di
Franco Saba
Aiuto regia
Rosalba Piras
Regia
Lelio Lecis
Debutto: 23 Febbraio
1995
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Il tenente Giovanni Drogo,
protagonista del romanzo di Buzzati "Il deserto dei
tartari", si reca in compagnia di un cugino alla fortezza
Bastiani. La fortezza che lo aspetta per una ferma senza
fine, appare sullo sfondo con mille tegole spioventi. A
ben guardare però, potrebbe sembrare la tastiera
di una macchina da scrivere. Dunque dentro c'è una
metafora, quella del cammino della vita, inevitabilmente
orientata verso la morte, e l'asfissiante routine notturna
nella redazione d'un giornale: servizio di vigilanza, guardia
al bidone, attesa di notizie che non arriveranno. Insomma,
c'è tutto il Buzzati giornalista del Corriere della
Sera nelle pagine di un deserto che può essere, invariabilmente,
nei silenzi di Via Solferino a Milano o di fronte ad un'infinita
distesa sabbiosa. Aspettando i Tartari. I Tartari dell'esistenza.
Che, come un certo Godot, resteranno sempre fantasmi, presenti
e asfissianti. Ma intoccabili, irraggiungibili, soprattutto.
Nella riduzione teatrale del romanzo, Guido Davico Bonino,
s'è liberato di molte atmosfere, alcuni personaggi,
perfino di certe descrizioni: ha asciugato il testo. Nell'allestimento
degli attori di Akròama, l'immagine che ne viene
fuori è piena e carica dei segni specifici di Buzzati.
Valeriano Gialli, che ha lavorato in molte altre pièce
con Lecis, aderisce in modo straordinario all'eroe di Buzzati,
ingabbiato nella sua divisa della Grande Guerra. Lirico,
romantico, scosso in alcuni momenti dai lampi d'un entusiasmo
giovanile che si spegne lentamente, man mano che ore e giorni,
giorni e ore consumano la vita all'interno di un bastione
dove si aspettano nemici che non si fanno mai vedere. Sintetizzata
in meno di ottanta minuti, la parabola di Giovanni Drogo
calca il legno consueto e familiare delle tematiche care
ad Akròama: l'esistenza e il suo significato, il
bisogno di esserci e il desiderio di starne ai margini.
"L'idea del romanzo nacque dalla monotona routine redazionale
notturna che facevo a quei tempi.
Molto spesso avevo l'idea che quel tran-tran dovesse andare
avanti senza termine e che mi avrebbe consumato così
inutilmente la vita. E' un sentimento comune, io penso,
alla maggioranza degli uomini, soprattutto se incasellati
nell'esistenza ad orario nelle città. La trasposizione
di questa idea in un mondo militare fantastico è
stata per me quasi istintiva..."
Dino Buzzati
Giovanni Drogo, un giovane
ufficiale, parte una mattina di settembre dalla sua città
per la Fortezza Bastiani, che da secoli si staglia, con
le sue ridotte, i suoi fortini, le sue casematte, ai margini
di un inesplorato deserto...
Ho sempre pensato che il Deserto dei Tartari (pubblicato,
non credo a caso, nel 1940) sia una folgorante metafora
del viaggio dell'uomo verso la Solitudine e verso la Morte:
un viaggio ad una sola direzione, che non ammette ripensamenti
ne arretramenti (tornare a casa per Giovanni Drogo è
-psicologicamente prima che fisicamente- impossibile). Ed
ho anche sempre ritenuto che quel deserto sia il vuoto,
l'assenza, la negazione della Speranza: nessuna avventura,
nessuna impresa, nessuna ora di gloria, nessun riscatto
è possibile per Drogo, come per tutti noi.
Nella mia riduzione ho cercato di "far passare"
(e mi auguro arrivi allo spettatore), la radicale aristocraticità
di questo messaggio pessimistico: dal quale tuttavia sembra
filtrare un filo di pietà, a cui ciascuno può,
se vuole, abbeverarsi...
Guido Davico Bonino
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