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Akròama
MARTA H
di Pierfranco Zappareddu

Con
Valeria Cossu
Roberto Crobu
Laura De Pasquale
Massimo Maiorca
Rossana Mele
Anna Mereu
Anna Maria Musiu
Giuseppe Perria
Rosalba Piras
Tiziano Polese
Roberto Satta
Federica Sestu

Supervisione costumi
Marco Nateri

Sartoria
Adriana Geraldo

Regia
Pierfranco Zappareddu

Debutto: aprile 1998

Le tappe di questo sogno-viaggio nella memoria sono numerose. Mi basterà accennare ai principali incontri che gli alchimisti-viaggiatori (gli attori) fanno nel loro tortuoso itinerario: l'erotismo, la pietà, l'ebbrezza, l'autodistruzione, la morte, l'abiezione, il danaro. Lo spettacolo presenta i ritratti di alcuni nodi elementari dell'esperienza umana che si animano, diventando i protagonisti di alcuni momenti essenziali, mostruosi, irreparabili della vita… In questo modo il viaggio conosce numerosi episodi tenerissimi e crudeli: un uomo dall'apparenza mite si trasforma nel più implacabile dei torturatori; una femmina celebra in una ebbra nudità l'Eros più disperante sotto gli occhi dell'antico amante; un uomo avvolto in un cappotto nero sceglie la cecità per non lasciare che la mente si arresti. Si beve e si urla, si gioca e ci si strazia, si ama, si prende, ci si infuria o ci si abbandona… La memoria dei morti cammina e i vivi sono fatti di cartapesta. I sogni cozzano e si frantumano. Ci si odia. E come può esservi pace?
Chi cerca il bene fa il male. Né vita né morte è la risposta. Tutto si fonde e scompare in un lampo. Un rito oscuro e toccante. Una tremenda ballata tra la copula e la morte: la morte che grida e reclama, la vita che dura una notte. Un'opera costruita su questi opposti registri, percorsa-attraversata da rintocchi e brividi dolcissimi, catartici, sconfinanti improvvisamente in una violenza cupa e sorda che lievita ed esplode nell'afflato spirituale dei protagonisti fino a rappresentare altrettanti spaccati dell'animo umano in momenti misteriosi e sofferti. Un'opera composta come una sinfonia grave e inquietante. Un'opera profondamente visionaria in cui ogni realtà usuale viene trafitta da uno sguardo che scopre le più segrete infermità e lacerazioni della coscienza umana. C'è nello spettacolo il calarsi nella vita per coglierne e fermarne l'interezza: il sapore, la fisicità, la violenza e l'abbandono. Si può rintracciare, come filo conduttore dello spettacolo, anche la nostalgia per l'attimo che si consuma, per quella passione o dolcezza che per quanto ripetuta è sempre irripetibile. Ben più distinta, ancora come costante, è il sentimento della continuità biologica dell'esistenza: l'amore che è tutt'uno col vivere, col bere, ridere, piangere e battersi per le cose in cui si crede. Nello spettacolo si potranno riconoscere brani di Ezra Pound, di T.S. Eliot, Francis Scott Fitzgerald, Spoon River.
L'atmosfera generale è carica di umori espressionisti. Lo stato d'animo dei personaggi è di continuo tormento.
Lo spettacolo è un incubo, forse anche un incubo personale. E' uno spettacolo che fa molta paura perché dentro di noi c'è qualcosa di manesco, di incapace, di impotente, di insignificante. Noi ci difendiamo da questo incubo e il fatto di articolarlo, rende più facile vedere chiaramente il problema e affrontarlo.

Pierfranco Zappareddu

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