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Estratti stampa - Troiane
Isabella Zacco
DONNE CONTRO LA GUERRA
[...] Su questa linea, il regista del
lavoro di Akròama, Lelio Lecis, si è mantenuto,
facendo indossare agli uomini abiti moderni, fumare sigarette,
esprimersi con linguaggio ribelle, a volte fastidioso, rispetto
all'armonia delle espressioni femminili. Ecuba, in primo piano
(Elisabetta Podda), figura imponente dall'alto della scala,
poi piegata a terra tra le donne, a narrare le sorti dei figli,
delle figlie, del nipotino, senza più lacrime, prosciugate
ormai per troppi lutti, ridotta a una pallida statua impietrita
del senso di colpa dei superstiti, il cui unico desiderio
è raggiungere i propri cari nell'Averno. Ma l'Averno
è un'invenzione dei Greci, Ecuba non scenderà
nel profondo delle tenebre, ma volerà in alto, al di
sopra dell'Olimpo, tra le stelle. Pagine di toccante poesia
di cui l'opera trabocca. In questa lettura di Lecis è
stato il coro a scandire il ritmo in modo più incisivo,
esaltato dalle voci soliste della Podda e Rosalba Piras (Andromaca).
Buona anche la marziale, "stonata" presenza maschile,
nevrotica, aggressiva al punto giusto, per contrastare le
lente armoniose movenze femminili. Una nota positiva infine
alle luci, alla suggestiva scenografia, ed alle musiche arabo-israeliane.
LA CRONACA, 8 dicembre 1994
Ezio Maria Caserta
VENGONO DALLA SARDEGNA LE TROIANE DEL GRUPPO AKROAMA
La disputa sul tema della guerra espletata
dalle Troiane (d'immediata attualità nel tempo della
scrittura euripidea - poiché i Greci erano in procinto
d'inviare una spedizione in Sicilia) propende ad una valutazione
negativa. Non c'è la prosopopea, né lo strombazzante
peana o l'arroganza dei vincitori, dietro il racconto dei
fatti, ma un commosso senso di pietà per quei vinti
che potrebbero, in futuro essere anche gli Elleni. Stringata,
essenziale, pulita, la regia di Lecis, ben servita da un impianto
scenico architettonicamente distribuito sui gradoni di due
enormi scale, richiamanti l'idea di una recitazione a più
livelli, secondo i formulari di Appia. Il suo punto di forza
è nella dilagante tensione musicale dell'impostazione.
Giusti i tagli. Fascinose le voci soliste che intonano motivi
d'arcaica bellezza di Elisabetta Podda e Rosalba Piras.
HYSTRIO, febbraio 1995
Monica Berzacola
DONNE SCONFITTE E SOLE
Una interessante rilettura viene posta
dal regista, Lelio Lecis, che abbandonando ogni tentativo
di rifacimento storico, pone il dramma al di fuori del tempo.
Concentrata l'attenzione sull'aspetto umano, il regista ha
scelto di amplificare i sentimenti e il dolore delle donne
troiane esaltando la figura di Ecuba, trasformata in dea madre
mediterranea, che raccoglie su di sé tutte quelle caratteristiche
che originariamente Euripide aveva attribuito ad Atena. "Finirò
più in alto dell'Olimpo, fra le stelle..." recita
la protagonista nel drammatico finale in cui deve decidere
se abbandonare Troia al seguito dei Greci o gettarsi tra le
fiamme della citttà in rovina. Un ulteriore intervento
sul testo che connota il personaggio di riferimenti cristiani.
L'intera rappresentazione può essere assimilata ad
un rito funebre che percorre i diversi livelli scenografici
al lume di torce e candele. Un magico rituale in cui il regista
ha fatto convergere il dolore delle donne che tutto hanno
perso nella guerra e la speranza delle più giovani
di trovare una vita migliore nella terra dei conquistatori.
Anche la causa dell'interminabile scontro bellico, Elena,
viene rappresentata come una ragazzina debole e insignificante.
Questa operazione ha esaltato il carattere corale delle presenze
femminili, irrilevanti dal punto di vista interpretativo con
la sola eccezione di Elisabetta Podda, Ecuba, e di Rosalba
Piras, nei panni di Andromaca. Coralità accentuata
dai bellissimi canti delle protagoniste, accompagnati da musiche
arabo-israeliane.
L'ARENA, 7 dicembre 1994
Giovanna Zofrea
IL FASCINO DELLA TRAGEDIA, SENZA PESANTEZZE
UNA RIUSCITA RIVISITAZIONE DELLE TROIANE
Mettere in scena la tragedia euripidea
in un'ora di spettacolo fluido, vivace e, a tratti, persino
incline al sorriso, non è cosa facile. In questo Lecis
si è dimostrato davvero grande: pur senza nulla togliere,
infatti,, alla grecità e alla classicità del
testo, mantenendo intatte le "unità" canoniche
della tragedia ellenica, in un'atmosfera perfettamente delineata
da una scenografia semplice, coinvolgente e assolutamente
funzionale, ha saputo giocare su elementi gestuali, musicali
e ritmici che hanno decantato il dramma da ogni pesantezza
e forzatura. Punti di riferimento formali sono le musiche
tradizionali arabo-israeliane, scelte dal regista come cifra
della coralità della tragedia tutta femminile, della
caduta di Troia, le immagini di danzatrici greche in riti
dionisiaci, che ricordano i potenti chiaroscuro dei vasi ellenici,
la dizione di tipico sapore pasoliniano che ignora volutamente
ogni condizionamento accademico, la gestualità maschile
(Menelao) relegata allo stereotipo del "pupo" siciliano
o del marionettismo di Craig. In questo contesto, due stupende
voci: Ecuba di Elisabetta Podda e Andromaca di Rosalba Piras,
attrici entrambe di straordinario spessore interpretativo
e di notevole magnetismo. Dopo i ripetuti applausi, la gente
sembrava non volersi più alzare dalle gradinate del
Laboratorio storico, "salotto" del teatro veronese.
IL VERONESE, 7 dicembre 1994
TEATRO SARDO. CONVINCENTE IN MODO
SEMPLICE
"Le Troiane" di Euripide in
lingua italiana, come recita il depliant, faceva temere ai
più l'incomunicabilità. Così non è
stato perché l'adattamento e la raffinata regia di
Lelio Lecis, ha fatto sì che solo in rari momenti l'espressione
dei sentimenti fosse affidata alla parola. Piuttosto il linguaggio
e i corpi, le danze ricche di espressione ed i canti, hanno
avuto l'effetto più penetrante. Che la semplicità
spesso nasconda una maggiore ricchezza scenica lo hanno dimostrato
il magico effetto e l'intensità dei semplici gesti
e movimenti, ma anche la messinscena particolarmente evocante.
Un sottile gioco di luci ha fatto di un semplice palco lo
sfondo dei lamenti di Ecuba, dei maliziosi giochi delle giovani
troiane e del tragico assassinio di Astianatte. Bastano un
paio di elmi e sciabole luccicanti e subito tre fragili ragazze
si trasformano in soldati pronti per la guerra. Come bastano
una lunga tela di lino e un paio di candele per creare l'accampamento.
Un altro punto di forza dello spettacolo è il suo sapore
mediterraneo con influenze orientali. Una straordinaria Elisabetta
Podda in Ecuba ricorda una madonna del sud o, se si preferisce,
una madre mediterranea. Il canto e la musicalità sono,
come abbiamo detto, le colonne della messa in scena. Fondamenti
che trovano nell'Andromaca di un'ottima Rosalba Piras e in
Ecuba che chiude il sipario su affascinanti movenze da ballerina
balinese la forma più smagliante.
SALZBURGER NACHRICHTEN, 24 ottobre 1991
Vittorino Fiori
ECUBA, ANDROMACA E UN DIO CRUDELE
Con uno spettacolo di gusto pasoliniano
(ne sono spia certe inflessioni della recitazione più
incline alla naiveté che all'accademia e i costumi
che richiamano la ruvidezza espressiva dell'arte povera assai
più che i levigati panneggi della statuaria classica)
l'Akròama si presenta oggi al suo pubblico nel nome
di Euripide. Chi oggi ritrova Rosalba Piras ed Elisabetta
Podda al Teatro delle Saline può riascoltarle, le due
voci di Akròama, in un contesto inedito e sorprendente.
Da uno dei suoi frequenti vagabondaggi di teatrante, Lelio
Lecis è tornato con la registrazione di un gruppo arabo-israeliano
i cui canti tradizionali gli sembrava venissero, in luoghi
non lontani dalle rovine di Troia, dai tempi remoti in cui
si consumava la tragedia delle Troiane ridotte in schiavitù:
su questa base musicale, affidando a Rosalba il ruolo di Andromaca
e ad Elisabetta quello di Ecuba, il regista ha chiesto alle
sue attrici-cantanti di integrare col canto la recitazione
del testo euripideo liberamente tradotto.
Non parole, ma cupe sillabe indecifrabili, hanno però
innestato Elisabetta-Ecuba e Rosalba-Andromaca sul per noi
non meno incomprensibile canto originale. E ne è uscito
fuori quel che Lecis si aspettava: una struggente colonna
sonora che a tratti sembrava evocare lamenti di prefiche.
L'UNIONE SARDA, 21 novembre 1991
Estratti stampa - Troiane 2001
Roberta Sanna
"LE TROIANE" O IL CANTO DELLA INFELICITA'
Al centro dell'allestimento la tragedia
che colpisce un popolo sconfitto. L'infelicità universale
affascinò Euripide, dando voce ad un'umanità
dolente e tormentata attraverso i tanti personaggi femminili
protagonisti delle diciassette tragedie giunte sino a noi,
dall'Alcesti e Ifigenia, Elettra e Medea, alle Baccanti e
Le Troadi. In sintonia con la poetica antieroica di Euripide
l'Akròama di Lelio Lecis riscrive e mette in scena
le "Troiane" - quello proposto nei giorni scorsi
alle Saline è la radicale riedizione di un precedente
allestimento - distillando il nucleo della sofferenza che
colpisce individuo e popolo, tragedia di vinti e perseguitati.
Tragedia universale, trasversale alla storia del genere umano,
dunque fuori dal tempo. Queste donne che hanno assistito alla
strage di mariti, figli e fratelli, prigioniere in attese
di essere tratte schiave dai greci, non vestono bianchi panneggi
classici ma abiti primi Novecento, velette e nero luttuoso,
cortocircuito cronologico che esplicita, più che la
materia mitica, il tema del dolore e della disperazione umana
comune a tutte le guerre, conquiste e genocidi. Così
la recitazione mescola cadenze classiche con toni e atmosfere
della drammaturgia moderna. A Troia dopo la cieca crudeltà
della guerra non esiste più la devozione, non l'invocazione
agli dei. Solo il dolore, eloquente, sussurra nomi delicati
e affettuosi per chi non è più, lancia parole
dure e ironiche per chi continua ad infierire. Sull'impianto
scenico ispirato alla classicità di colonne e gradinate,
protagoniste e corifee diventano portatrici di un indignato
e straziante coro funereo. Inno doloroso, a tratti duro o
dolcissimo in assonanza alle note di violini e launeddas delle
corifee, evocato da Ecuba. Da regina domina dal trono le ceneri
di Troia, scruta le navi pronte a salpare per la Grecia con
le sue figlie schiave, sublima il suo dolore con le movenze
misteriose e ieratiche di un rituale orientale, in una danza
per chiamare a sé una morte salvifica. Affianco all'Ecuba
di grande commozione e incisività di Elisabetta Podda,
Rosalba Piras è l'Andromaca dai toni delicati e intensi,
Alice Capitanio la ribelle Cassandra in stile dark, Antonio
Caboni l'ironico Menelao in doppio petto, Raffaela Perra il
piccolo Astianatte, Tiziano Polese (infortunato: salterà
infatti il debutto di "Ultima di campionato" previsto
per giovedì prossimo) è il cinico aguzzino Taltibio,
Barbara Cadeddu offre ad Elena movenze da vamp, Alessia Manca
(viola), Carla Orrù (launeddas), Gabriella Casula (violino),
Monica Perra e Tiziana Martucci sono le corifee.
LA NUOVA SARDEGNA, 22 maggio 2001
Pier Paolo Argiolas
TROIANE
Il testo di Euripide riscritto da Lelio
Lecis, regista e curatore dello spazio scenico. Spettacolo
proposto dal Teatro Stabile d'Arte Contemporanea Akròama.
Il sipario si apre su una scalinata in ferro che, nelle fattezze,
mima i gradini in pietra di un tempio greco. Alla sua sommità
campeggiano colonne doriche, stilizzate e impresse su sfondo
piatto. Proprio in cima, esattamente al centro della scena,
domina su tutti la figura di Ecuba, madre e donna dolente,
interpretata da Elisabetta Podda, grave ed imponente, come
il ruolo richiedeva. Su uno scenario volutamente proiettato
in una dimensione atemporale - quindi universale - si muovono
di volta in volta le varie protagoniste, le superstiti della
disfatta troiana, che portano tatuati nella memoria i segni
di una tragedia personale, che è anche la tragedia
di un popolo, vista dalla parte di chi deve testimoniare l'altrui
morte. Una sofferenza la cui intensità porta alla mente
l'eco toccante di conflitti a noi più vicini, come
a dire che certi sentimenti appartengono al mondo in quanto
tale, e non si è trattato solo di questioni private
tra Greci e Achei. Le voci soliste si alternano e si scambiano,
Cassandra (Alice Capitanio), avvolta da un giaccone nero in
pelle, prova a far luce col dono della sua preveggenza; Andromaca
(Rosalba Piras, per noi la più brava), vedova di Ettore
e privata, nel corso della tragedia, dell'unico figlio Astianatte,
colpevole, agli occhi degli Achei, di portare in sé
i geni dell'eroico padre. E ovviamente Ecuba, vera coscienza
storica del suo popolo. A fare de cornice a questa serie di
interventi Lecis ha posto un piccolo coro - un altro tributo
all'arte classica - di commento ai fatti, ausilio nella ricostruzione
degli eventi e accompagnamento musicale; in ciò coadiuvato
dalla presenza di tre strumenti: viola, violino e launeddas,
preposti alla creazione dell'atmosfera più consona
ai momenti di lirica partecipazione, come la morte di Astianatte
o il ballo funebre di Ecuba. Suoni che attingevano tanto alla
tradizione sarda quanto a quella medio-orientale. All'interno
di uno spazio così delineato e caratterizzato cromaticamente
(il nero delle vesti, soprattutto), fa repentina irruzione
una vera e propria macchia di colore, uno spruzzo di rosso
intenso che annuncia per sua costituzione l'ingresso sulla
scena di Elena, la donna della discordia, cinta da un abito
in velluto rosso-porpora, con tanto di borsetta e specchietto,
interpretata in tutta la sua femminilità e frivolezza
da Barbara Cadeddu, abile nell'esprimere con voce flessuosa
e fare accattivante il ruolo da bambolona alla Jessica Rabbit,
scelto per lei dal regista. Il dialogo con Ecuba - a nostro
parere una delle parti più indovinate dell'intera rappresentazione
- esprime il conflitto eterno ed ineliminabile tra libero
arbitrio umano e volontà superiore, divina, quasi predestinazione.
Antonio Caboni e Tiziano Polese erano rispettivamente il signore
acheo Menelao ed il suo servo ed esecutore materiale Taltibio;
entrambi in abito scuro. Il dramma si conclude con l'invocazione
alle stelle fatta da Ecuba, presentata coma una madre-dea-terra,
giunta nel suo percorso di graduale discesa. Fino a che anche
lei sparisce, "sommersa" dalla sabbia che, come
all'interno di una clessidra, scandisce inesorabilmente il
suo tempo sulla terra. Una cartolina dal passato, inviata
come monito perenne alle genti future.
WEEK, martedì 29 maggio 2001
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