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Compagnia B (produzione Akroama)
JOHN DOVANNI
La vera storia di John D.

di Alice Capitanio da “Don Giovanni e il convitato di pietra” di Molière
regia di Alice Capitanio

con
Luca Sorrentino, Giuliano Pornasio,
Eleonora Piroddi, Roberta Setzu

e con i tangueros
Silvia Fracchia, Stefania Lasi, Laura Ollano
Efisio Badas, Bernard Gagnè, Edgard Pruss

In video Nino Nonnis
Voce fuori campo Simeone Latini
Scene e costumi Salvatore Aresu
Progetto luci Lele Dentoni



Lo spettacolo John Dovanni

John Dovanni è una commedia divertente e burlesca ispirata al “Don giovanni” di Molière del 1665, a sua volta ispirato alle messa in scena sul tema che in quel periodo venivano rappresentate in Italia e Spagna. Grazie alle capacità di modifica che Molière operò liberamente sulla materia, infondendovi uno spirito personale, la sua opera può stare accanto al Don Juan spagnuolo, come una nuova, diversa figurazione del tipo leggendario. Così come una nuova figurazione del tipo classico aspira ad essere quello proposto in questa versione. Intorno al gran signore malvagio, al seduttore che si complica con l'ipocrisia, robustamente accampato nel pensiero libertino, Molière ha costruito una commedia varia e disuguale, e proprio a questa varietà e disuguaglianza fa riferimento il nostro John Dovanni, che si propone come una bizzarra commedia sul tema del moralismo senza pretese di lucida linearità. La figura del Don Giovanni possiede una filosofia tanto forte ed espressiva al suo interno da consentire nuovi spunti di rilettura così ieri come oggi. Il mito di Don Giovanni, dopo quasi tre secoli di florida esistenza, è un mito moderno, nato dalla realtà e non dalla visionaria fantasia. Ne è eroe un uomo che non conosce viltà e sperpera il suo coraggio, la sua giovinezza nel soddisfare il suo prepotente, inestinguibile bisogno di amare e di godere nei sensi. Il seduttore, ipocrita e di famiglia benestante, noncurante dei valori cristiani e sprezzante la morte, è rappresentato in questa versione col nome di John Dovanni: rampollo di una potente famiglia siciliana che, sfuggito alle grinfie della moglie e  della famiglia, ha aperto un locale notturno dove, invece di curare gli affari della famiglia con onore e dignità, trascorre le notti tra tanghi, donne, avventure e i lussi di una vita spesa a dedicarsi al vizio e al crimine. Il “JOHN D.”, spazio della messa in scena, è il locale notturno in cui il Tango Argentino fa da padrone. I tanghi, metafora delle conquiste amorose del protagonista, si alternano sulla scena contornata da poliziotti, musica francese, belle donne e scheletri nell’armadio (e non). Cooprotagonista in questa serata al JOHN D. è il servo: nelle vesti del direttore di sala c’è Sgan (lo Sganarello di Molière) che apre lo spettacolo invitando il pubblico come un’ospite a seguire la lunga notte di John Dovanni. Sgan, che si presenta come un incrocio tra un servizievole maggiordomo e un grillo parlante, coscienza del protagonista, che lo ammonisce sulle conseguenze di una vita sregolata, sul finale si vedrà costretto dallo sviluppo degli eventi (e dalla perseveranza di John nel vizio) a un cambio di ruolo con effetto sorpresa finale.

 

La messa in scena

La messa in scena rinnova il mito di Don Giovanni, con l’affascinante, emblematica vicenda dell’uomo che si ribella a Dio, in nome dei valori terreni e fonde nel suo protagonista lo spirito laico con il vitalismo sensuale e libertino.

Del Don Giovanni di Molière restano in questa rappresentazione i tratti salienti, riletti in chiave ironica: l’abbandono della petulante moglie Elvira, la ricerca di donne e avventure, la figura del padre, Don Luigi (che cerca di riportare il figlio sulla retta via), mentre la figura del convitato di pietra, (statua di marmo da cui per secoli il Don Giovanni prese il nome che con la sua mano gelida trascinava il grande peccatore all’inferno) viene sostituita dai convitati reali all’ultima “rappresentazione” che John Dovanni dà di se nel suo locale.

La morte del protagonista, affidata anche in questo caso al cielo, si manifesta quindi, non sottoforma di statua di marmo, ma attraverso le mani dell’uomo (o meglio, degli uomini) più vicini al protagonista. L’“ipocrita” John muore quindi ucciso da altri uomini che altrettanto ipocritamente si arrogano il diritto di incarnare la volontà di una presunta morale divina.

La messa in scena verte sul continuo confronto tra i due protagonisti: John e Sgan.

Sgan, moralista e bacchettone, rappresenta il buonsenso e la prudenza, e John, sfrontato fascinatore, rappresenta il libertinismo e la passione per la vita; ma i due, seppure antagonisti e contrapposti, sono stretti da un filo invisibile che li svela nel finale come ciò che realmente sono: due facce, ipocrite, di una medaglia che è inevitabilmente la stessa, due semplici uomini, assimilati dalle loro intime debolezze e da un prepotente bisogno di amare e di essere amati.

 

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