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Progetto
Speciale
Sguardo Occidentale Secondo -
MARZO 1998
SGUARDO
OCCIDENTALE SECONDO
5-6-7-8
marzo
Opera di Pechino / Akròama
LA NUOVA SARDEGNA
12 marzo 1998
VISIONI D'ORIENTE
Una
Giulietta all'Opera di Pechino. Nel luogo vagheggiato e mitizzato dell'immaginario
teatrale orientale entra e cambia se stessa in un continuo gioco a perdersi
di incastri. Dentro il rituale dove il teatro coincide fino in fondo con
un cerimoniale di iniziazione alla vita, l'attrice viene condotta alla
scoperta dell'altro diverso da sé, al segreto intimo della scena
e della finzione. Al teatro e al suo doppio. Tutto questo accade, come
un favola simile a un mito, in "Sguardo Occidentale" (atto secondo)
nuovo allestimento dell'Akròama, firmato dalla regia di Lelio
Lecis e presentato giorni fa alle Saline. Frutto di un lavoro in progress
che vede coinvolti sullo stesso piano, uomini e attori della compagnia
sarda con quelli altri titolati dell'Opera di Pechino (tra cui Wang Yi,
Han Zeng Xiang, Zhao Ling, Ye Jang Xiang e Li Ping) è tappa di
un progetto triennale che ha come ambìto obiettivo quello di far
agire sullo stesso spazio due linguaggi espressivi diversi.
Ideato come
un viaggio, "Sguardo Occidentale" ha numerose stazioni d'arrivo e partenza.
Tappe di un'affascinante scoperta di un teatro diverso e lontano, dove
una giovane attrice (Alice Capitanio), colta inizialmente alle prese con
la recitazione stanca e accademica del personaggio shakespiriano di Giulietta,
indossa i panni di Alice nel paese delle meraviglie, muovendosi in punta
di piedi tra visioni esotiche e personaggi che sembrano fluttuare nell'aria,
inafferrabili e leggeri.
Come nella
prima apparizione della ninfa, la conturbante Wang Li Ching, abbigliata
in candide e morbide vesti di seta che, con grazia eccelsa, muove il lunghissimo
telo dai colori dell'arcobaleno. Sono volute sinuose, cerchi e spirali
elegantemente disegnate nell'aria, dove i colori si confondono e si mescolano
per poi separarsi di nuovo. E' la sua voce elegante da mezzosoprano che
accompagna i gesti misurati e incantatori. Figura sospesa e senza tempo,
come quelle altre che si susseguono con un ritmo dolce e avvolgente. Sono
i lottatori di bastoni dall'agilità felina, gli sbandieratori di
drappi celesti come il cielo, o le attrici che con eleganza compongono
figure di danza al suono di uno straziante e malinconico violino arpeggiato
da un anziano musicista. Figure di un teatro che si smonta pezzo per pezzo
davanti agli occhi smarriti e affascinati. E' lo scorrere di un film di
immagini proiettate da un'antica lanterna, sul fondale scuro della scena
disadorna. Immagini dai contorni evanescenti di un sogno. Da dove emergono
quei due piccoli gioielli dell'arte teatrale cinese. Il primo, completamente
riscritto scenicamente (e asciugato considerevolmente) del barcaiolo che
traghetta una monaca, è un capolavoro di arte mimica, di controllo
del corpo e della gestualità: la zattera che scivola nell'acqua
in balìa della corrente, le paure della monaca e le comiche espressioni
del pescatore. Il secondo infine, pezzo classico per eccellenza, è
la parte finale - fedele invece all'originale - dell'"Addio mia concubina".
Il momento in cui cioè, la concubina, per favorire la fuga dell'imperatore,
decide di togliersi la vita. Atto estremo d'amore, momento alto di una
tragedia che in "Sguardo Occidentale" viene smontata in diretta sul proscenio.
Con un colpo a sorpresa finale, fatto di ribaltamento di ruoli, di scambio
delle parti: una straordinaria Li Hai Qing che riprende "Giulietta" in
un pezzo d'alta classe e, una perfetta Elisabetta Podda, viceversa, assolutamente
"dentro" i panni di un maschio orientale. Sta qui, nel giocare con i codici,
nell'insistere su quella metafora stessa del teatro, un po' la storia
stessa dell'Opera, che "Sguardo" si insinua poeticamente. E pur nell'esile
trama narrativa, diventa così un delizioso pretesto per guardarsi
allo specchio e perdersi per un attimo come delle stelle, "piccoli fiori"
sospesi nell'universo. Di un Mito perduto.
Walter Porcedda
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