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Estratti stampa - Medea

Leonardo Sole
UNA MINIERA DI SIMBOLI INERTI

[…] In un lungo monologo che assomiglia ad un soliloquio, una Medea dei giorni nostri con l'animo pieno di luci e di suoni (quelli della sua lontana isola) e il cuore ferito da una delusione amorosa, rievoca i momenti del suo appassionato incontro con un giovane "vestito casual", Jason, ora uomo ora dio, che cammina tenendo il Vello d'oro "piegato in due sotto il braccio". Jason è un giovane dai modi sbrigativi: la vede e la invita a seguirlo. Lei gli corre dietro. Il fratello Absirto li insegue. Medea gli taglia la gola, e la testa del fratello rotola lungo il pendio. Fuggono per mare. Li accoglie un vecchio zio di Jason, una specie di collezionista, che aveva promesso al nipote una fortuna se gli avesse portato a casa il mitico Vello d'oro. Il costante riferimento al modello classico non può che produrre lo sdoppiamento. Così la Medea si sdoppia. Compare la Medea classica. […] Ma la storia di Medea, quella classica, era solo un pretesto per il lamento appassionato, per la solitudine tinta di nostalgia dell'altra Medea, quella che soffre e s'imbozzola nelle sue metafore lunari. E un pretesto (ma un bel pretesto) sembra anche la tensione drammatica tutta figurale e impreziosita dalle sonorità profonde e dalle modulazioni scabre e raschianti d'una vocalità originale e pregnante (quella di Elisabetta Podda), voluta dal regista Lelio Lecis. Sulla scena attraversata da fasci, incroci e raffiche di luce, in cui la staticità della costruzione viene attenuata e dinamizzata da una pedana mobile che ruota su se stessa, le due Medee si staccano come immagini evanescenti (che l'ottimo commento musicale di Mauro Palmas contribuisce a rendere plasticamente vive), si confrontano, si staccano come eco l'una dell'altra, si attorcigliano e volteggiano con la luce, si chiudono in un lirismo trasognato. Sono corpi nella luce. Il corpo giovane e aggraziato della Medea moderna (Alice Capitanio) si misura con quello maturo e straripante di espressività grumosa della Medea classica (Elisabetta Podda), che continua a modulare la sua voce scabra e dolente ma centellinata a schiocchi e singulti che follemente mimano la risata. La tensione dei corpi-immagine cresce, si dinamizza e snoda in movenze di danza ilari e grottesche. La bravura del regista immaginifico riesce in qualche modo a tradurre la staticità in dramma. Il mito che rivestiva di panni classici le effusioni liriche della Medea monologante resta sullo sfondo come coreografica velatura, come il Vello d'oro piegato in due sotto il braccio dell'emblematico Jason. Nel duetto coreografico e vocale dei due corpi speculari fortemente teso a trarre un possibile dialogo dal monologo anche la giovane Alice Capitanio conquista con merito piena dignità di interprete sensibile, ora contratta, ora morbidamente divaricata e straziata nella dissonanza dei corpi complementari e ostili.
LA NUOVA SARDEGNA, martedì 5 dicembre 2000

L.S.
MEDEA DI PATRIZIA FILIA, CLASSICA E CONTEMPORANEA

[…] La "Medea" di Patrizia Filia parte da un'attenta rilettura di Euripide per ricavarne un suo personale percorso di scrittura. Lo spettacolo gioca sulla mescolanza delle lingue, tra le quali il sardo, e sullo sdoppiamento della figura di Medea, una che si muove lungo il versante classico e l'altra intrisa di modernità. […]
LA NUOVA SARDEGNA, martedì 28 novembre 2000

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