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Estratti stampa - Sguardo occidentale secondo
Walter Porcedda
VISIONI D'ORIENTE
Ideato come un viaggio, "Sguardo
Occidentale", ha numerose stazioni di arrivo e partenza.
Tappe di un'affascinante scoperta di un teatro diverso e lontano,
dove una giovane attrice (Alice Capitanio), colta inizialmente
alle prese con la recitazione stanca e accademica del personaggio
shakespiriano di Giulietta, indossa i panni di Alice nel paese
delle meraviglie, muovendosi in punta di piedi tra visioni
esotiche e personaggi che sembrano fluttuare nell'aria, inafferrabili
e leggeri. Come nella prima apparizione della ninfa, la conturbante
Wang Li Ching, abbigliata in candide e morbide vesti di seta
che, con grazia eccelsa, muove il lunghissimo telo dai colori
dell'arcobaleno. Sono volute sinuose, cerchi e spirali elegantemente
disegnate nell'aria, dove i colori si confondono e si mescolano
per poi separarsi di nuovo. E' la sua voce elegante da mezzosoprano
che accompagna i gesti misurati e incantatori. Figura sospesa
e senza tempo, come quelle altre che si susseguono con ritmo
dolce e avvolgente. Sono i lottatori di bastoni dall'agilità
felina, gli sbandieratori di drappi celesti come il cielo,
o le attrici che con eleganza compongono figure di danza al
suono di uno straziante e malinconico violino arpeggiato da
un anziano musicista. Figure di un teatro che si smonta pezzo
per pezzo davanti agli occhi smarriti e affascinati. E' lo
scorrere di un film di immagini proiettate da un'antica lanterna,
sul fondale scuro della scena disadorna. Immagini dai contorni
evanescenti di un sogno. Da dove emergono quei due piccoli
gioielli dell'arte teatrale cinese. Il primo, completamente
riscritto scenicamente (e asciugato considerevolmente) del
barcarolo che traghetta una monaca, è un capolavoro
di arte mimica, di controllo del corpo e della gestualità:
la zattera che scivola nell'acqua in balìa della corrente,
le paure della monaca e le comiche espressioni del pescatore.
Il secondo infine, pezzo classico per eccellenza, è
la parte finale - fedele invece all'originale - dell'"Addio
mia concubina". Il momento in cui cioè, la concubina,
per favorire la fuga dell'imperatore, decide di togliersi
la vita. Atto estremo d'amore, momento alto di una tragedia
che in "Sguardo Occidentale" viene smontata in diretta
sul proscenio. Con un colpo a sorpresa finale, fatto di ribaltamento
di ruoli, di scambio delle parti: una straordinaria Li Hai
Qing che riprende "Giulietta" in un pezzo d'alta
classe e una perfetta Elisabetta Podda, viceversa, assolutamente
"dentro" i panni di un maschio orientale. Sta qui,
nel giocare con i codici, nell'insistere su quella metafora
stessa del teatro, un po' la storia stessa dell'Opera, che
"Sguardo" si insinua poeticamente. E pur nell'esile
trama narrativa, diventa così un delizioso pretesto
per guardarsi allo specchio e perdersi per un attimo come
delle stelle, "piccoli fiori" sospesi nell'universo.
Di un Mito perduto.
LA NUOVA SARDEGNA giovedì 12
marzo 1998
Piero Longo
SGUARDI, GESTI E SILENZI, LA LEZIONE CHE VIENE DALL'EST
Sono sguardi, gesti, silenzi, posture,
esplosioni ed implosioni del corpo che giungono da una cultura
dove anche la vocalità è rito, richiamo assoluto
alla grazia che nasconde gioia e dolore nel sorriso della
geisha. Arte della persona, appunto, in cui il teatro come
totalità di parola, musica, danza e mimo si fa linguaggio
metaforico che restituisce, per vie diverse dalla tradizione
occidentale, il rapporto tra arte e vita, realtà e
immaginario. Appropriarsi di quelle tecniche espressive ed
esecutive è il desiderio dell'attrice, Alice Capitanio,
che deve rinunciare a se stessa e alla sua cultura per iniziarsi,
guidata dal gruppo di attori dell'Opera di Pechino, a quella
poesia dell'assenza nella quale l'allusività predominante
esige anche destrezza da giocoliere ed equilibrista, specifiche
doti vocali e coreutiche. Le antiche convenzioni sono impartite
dal vecchio musicista in scena Li Ping, dall'attore Han Zeng
Xiang e dalle cinque attrici che mostrano i segreti delle
loro tecniche presentando frammenti di un repertorio che incanta
il pubblico per la grazia e la leggerezza esotica che si sublima
nel canto. Trii, duetti ed assolo, con ventagli, spire colorate,
drappi, spade, fanno da preambolo al canto della concubina
prescelta e al suo addio all'imperatore, di Li Hai Qing, alla
ninfa coi veli di Wang Li Chun, e all'episodio del passaggio
in barca nel fiume d'autunno.
LA REPUBBLICA domenica 1 marzo 1998
Giuseppe Drago
SI FA PRESTO A DIRE PECHINO
Il pretesto dell'accostamento della giovane
attrice occidentale al teatro cinese, funziona sulla scena
come spaccato didattico e approccio alle tecniche dell'attore
orientale, mostrando diversi esercizi di addestramento acrobatico,
l'uso dei bastoni, delle bandiere e dei ventagli, e alcuni
frammenti del repertorio dell'Opera di Pechino codificati
nei primi anni del '900 da Mei Lanfang. Presentato in cartellone
col titolo di "Volevo diventare concubina", questo
secondo "Sguardo Occidentale" al Teatro Libero è
il frutto di un interessante lavoro di conoscenza e integrazione
- avviato già da qualche anno da Lelio Lecis - tra
la compagnia cagliaritana Akròama e un gruppo di attori
cinesi.
NUOVO OGGI SICILIA domenica 1 marzo
1998
Faustina Morgante
UNA GIOVANE ATTRICE ED IL TEATRO CINESE
"Sguardo Occidentale" è
una suggestione quasi onirica, incarna un desiderio di fusione
e contaminazione con un "altrove" culturale e artistico
che è l'Oriente. Con un teatro, quello cinese, totale
e rituale. Da questa fascinazione è nata una sperimentazione
interessante sulla utilizzazione, in un contesto scenico comune,
di codici e linguaggi teatrali diversi. Il progetto, che da
tre anni impegna l'autore e regista della compagnia sarda
Akròama, Lelio Lecis, è uno strumento di vicinanza
e di contatto che testimonia l'apertura di dimensioni espressive
differenti che vogliono incontrarsi e specchiarsi. Per cui
la diversità diventa motivo scenico e narrativo centrale
di tutta la sperimentazione.
LA SICILIA martedì 24 febbraio
1998
Giuseppe Di Liberti
IL FASCINO DELL'OPERA DI PECHINO NELLE MANI DI UN REGISTA
EUROPEO
Il fascino dell'Opera di Pechino si rinnova
costantemente nella sua ripetizione senza tempo e questo spettacolo
offre l'occasione sia per vedere i validi attori pechinesi
in azione sia per comprendere un po' meglio gli strumenti
e il linguaggio che un attore orientale usa. [...] Un riferimento
interessante è ad uno dei più grandi interpreti
e innovatori dell'Opera cinese, Mei Lanfang, che all'inizio
del Novecento, in parallelo alle novità che emergevano
nel teatro occidentale, ha modificato profondamente il linguaggio
dell'Opera in molti suoi aspetti, compreso quello drammaturgico
(proprio questo spettacolo usa alcune parti di suoi testi
molto famosi come "Addio mia concubina" e "La
ninfa dai lunghi veli"). Ed è interessante vedere
come le tecniche preparatorie elaborate a partire da Mei Lanfang
(uno dei più grandi interpreti e innovatori dell'Opera
di Pechino) abbiano profonde vicinanze con quello che in occidente
è stato elaborato. Lo spettacolo dà un'idea
di tutto questo mostrando scene di scuola, il lavoro sul gesto,
l'esercizio acrobatico, il lavoro sulla voce. Emerge una figura
d'attore complessa e articolata che può offrire incredibile
stimoli. Confrontarsi con il teatro tradizionale cinese significa
confrontarsi con un teatro originario, semplice ed essenziale,
che ricostruisce tutto il suo spazio tramite il gesto dell'attore.
IL MEDITERRANEO 28 febbraio 1998
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