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Estratti stampa - Spaccio

ROSALBA PIRAS IN SCENA CON STEINBECK
[…] In "Spaccio" (così è stata intitolata la performance tratta dal libro "La corriera stravagante") Rosalba Piras veste i panni di Alice, sconclusionata figura di donna che annega in un boccale di vino ricordi incatenati ad uno sperduto paese della profonda America. Con la compagnia Akròama (di cui ha interpretato tutti gli spettacoli più conosciuti da "Mariedda" a "Balloi Caria") Rosalba Piras ha un rapporto di complicità teatrale che dura dal 1978 ed è stato affinato da otto anni di intenso lavoro. La sua interpretazione è l'ultimo anello di una catena che ha portato - in tre mesi - alcune tra le figure femminili più interessanti della sperimentazione nell'angusto palcoscenico dell'Akròama. L'attrice cagliaritana chiude un ciclo incominciato con le protagoniste della ricerca teatrale italiana. […]
L'UNIONE SARDA, giovedì 30 gennaio 1986

Angelo Porru
UN'AMERICA SENZA PIU' SOGNI AL CAPOLINEA DELLA DISFATTA

[…] Al posto delle casette lucide quanto la Cadillac in giardino, dominano sciatteria e abbandono. L'altra faccia degli States comunque fascinosi, come ce l'hanno raccontata Sam Shepard, Bukowski, i dissidenti dell'Hollywood tutta lustrini. E prima ancora John Steinbeck, lo spunto di questo scenario per attrice solista. Una fiera del degrado traduce le pagine dello scrittore controcorrente. La taverna in cui Alice rivanga mediocri successi e sconfitte che bruciano somiglia a un avamposto dimenticato. Nemmeno lei, l'ex cantante di locali equivoci, sembra passarsela meglio. Ogni ferita mal rimarginata reclama alluvioni di alcool. Dosi d'urto, che mischiando whiskey e birra, o qualsiasi intruglio ad alta gradazione, hanno reso un relitto la bomba sexy degli anni al microfono. Da quell'epoca sotto i riflettori si riaffacciano solo i ricordi. E fanno male, com'è capitato coi modi spicci e violenti della prima volta con un uomo. E' stato l'inizio di una corsa alla disfatta. Nel capolinea, l'Alice sconfitta di Rosalba Piras ha incontrato un marito più assente che scialbo, e un esilio dietro un banco di mescita. L'inferno di un bar inghiottito dalla sabbia, che invade ogni angolo tra bottiglie e tavolini. Bere o affogare, sembra sia diventata l'alternativa di una vita svenduta. Ha scelto d'ingoiare il calice, la ragazza che si è scoperta invecchiata. Da qui, una passione crescente per tutti i bicchieri. Alice è una vittima del mito nelle voci impastate o squillanti della sua interprete. Voleva essere Marilyn, il brutto anatroccolo che si ritrova "star" anche col suo accento popolano. L'America dei perdenti è invece una accozzaglia di lattine vuote dentro quattro muri scrostati. Qualcosa di molto simile ai fallimenti che cercano lo stesso rifugio coi nostri dispensari di sbronze. Anche per questo certi aromi regionali nella parlata ubriaca non indispettiscono l'orecchio. Insieme alle doti di muscoli di un'attrice abituata a preferire l'espressione del corpo, il timbro concorre, anzi, ad una sicura riuscita. Dividono i meriti le luci di Luca Lai, musiche ed effetti di Franco Saba, flipper e juke-box da catalogo d'antiquariato in uno spazio scenico centratissimo. Ma senza un numero da "musical" della Piras anche regista, scolorirebbe la forza di uno spettacolo che sa riconoscere il sale dei sogni americani: una canzone, e l'idea di poterla intrecciare coi propri destini.
LA NUOVA SARDEGNA, sabato 17 marzo 1990

Vittorino Fiori
DRAMMA IN UN BAR TAGLIATO FUORI DAL MONDO
ASSOLO DI ROSALBA PIRAS AL TEATRO AKROAMA

[…] Il bar è pieno di lattine vuote e di polvere, fa indovinare un gran movimento di frettolosi avventori che buttano la lattina di birra appena scolata sul pavimento. Di notte è un luogo sinistro. Non vi mette allegria nemmeno il juke box al quale Alice chiede conforto facendone uscire un boogie wogie da ballare con più affanno che gioia (suo partner è la scopa che fa rotolare le lattine sul pavimento: quasi una grottesca citazione da un film di Fred Astaire). La musica rimanda a ricordi - a illusioni - d'un tempo lontano; se il juke box fa sentire le note d'una famosa canzone ("L'uomo che amo", di Gershwin) Alice la canta, trasognata, cercandovi un momento di felicità che frana subito nell'incubo di quella che per lei fu "la prima volta". Fu presa a tradimento dall'uomo che amava, un bruto che sbrigò rapidamente la faccenda e subito le voltò le spalle. Neanche dopo ebbe fortuna con gli uomini, "tutti mascalzoni". Sta infatti qui a chiedersi: "E adesso? Cos'è la mia vita?". Se ancora si illudeva specchiandosi in un lucido piattino di metallo e truccandosi velleitariamente con energici sbaffi di rossetto ("Potevo prendermi tutti gli uomini che volevo!"), la risposta che si dà da sola non lascia spazio alla speranza. Ha in mano una pistola. Se l'era già puntata prima contro la tempia, ma non sembrava volesse far sul serio mentre continuava a riempirsi il bicchiere. Ora è decisa a farla finita, non ha altre alternative ("Vero, mamma?") e infatti la scena sprofonda nel buio mentre in un angolo si accendono sinistramente le luci di un flipper. Lo spettacolo tiene, Rosalba Piras lo ha pensato ed eseguito con grinta. […] E' cresciuta alla scuola di Lelio Lecis prendendo parte a tutti gli spettacoli del gruppo "Akròama"; fu "Nonnighedda" in quello che più di ogni altro resta nella memoria dello spettatore, "Mariedda": vi cantò una bellissima canzone. […]
L'UNIONE SARDA, domenica 2 febbraio 1986

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