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Estratti stampa - Marines - The Brig
Angelo Porru
IL LIVING THEATRE RITORNA AL CENTRO AKROAMA
"The brig" è l'allestimento
più famoso dello storico Living Theatre. Un'allucinante
esplorazione nella disciplina ferrea dei marines statunitensi,
che provocò, a suo tempo, l'intervento censorio della
polizia. Con questo si misura Lucido Sottile, gruppo sorto
nella scuola teatrale del centro Akròama. Diretto da
Elisabetta Podda, questo "materiale di lavoro" affronta
il pubblico nella sala del centro a Monserrato. [
]
LA NUOVA SARDEGNA, giovedì 12
novembre 1987
Vittorino Fiori
QUESTA VOLTA I MARINES SONO DONNE
THE BRIG ALL'AKROAMA
[
] Comincia dunque ("Oggi sarà
un'altra giornata gloriosa nella storia dei marines degli
Stati Uniti d'America!") la quotidiana corvèe
puntigliosamente regolata dagli ordini dei carcerieri-istruttori.
E' tutto un affanno di movimenti precipitosi, di tacchi sbattuti,
di "Sì, Signore" e "No, Signore",
di frenetiche lustrature dei pavimenti e di permessi mendicati
ad ogni passo, di esercizi ginnici spinti al limite della
tortura, di sigarette fumate meccanicamente e spente fra le
dita rischiando ustioni di terzo grado, di estemporanee punizioni
corporali (pugni nello stomaco, capelli tirati con rabbia),
di insulti furiosamente espettorati e di quant'altro - in
fatto di sevizie e umiliazioni - vi sarà facile immaginare,
se avete visto, magari barando sull'età con la cassiera
del cinema, il film di Stanley Kubrick. Solo che
Prima
di continuare chiederei alla regista Elisabetta Podda - che
fu una dolcissima Mariedda applaudita al suo esordio sulle
scene come attrice, danzatrice e cantante - quale opinione
abbia delle donne che sognano il servizio militare e ritengono
un'intollerabile giustizia, più che un privilegio,
il fatto d'esserne escluse. Suppongo - la butto lì
tirando a indovinare - che rifiuterebbe la firma a chi le
chiedesse di metterla su una petizione tendente a far passare
la legge sulle donne in divisa militare. Se così non
fosse, perché mai avrebbe dovuto riempire di donne
la prigione dei marines? Ecco, la novità rispetto al
Living e a Kubrick è questa. Qui i marines sono donne,
tutte donne. Uomini, solo uomini, sono invece gli aguzzini
che le tormentano provocandole con inesausto sadismo. Se è
una metafora di puro stampo femminista, i conti tornano: dobbiamo
leggere "The brig" come un'indignata denuncia degli
eccessi del maschilismo. Dallo spettacolo di Lucido Sottile
emergerebbe dunque una tesi del tutto estranea al mondo di
soli uomini di Kubrick; abbiamo divagato e ce ne scusiamo
con Elisabetta Podda e la sua compagnia, affrettandoci a riprendere
il filo del racconto teatrale prima che si faccia buio in
sala. La "giornata gloriosa" è stata davvero
stressante, ma ormai è finita: "Bene, bambine
- chiede con un feroce sorriso il più insolente dei
carcerieri-istruttori - : vi siete divertite oggi?".
Scommetto che indovinate la risposta, ora che avete imparato
il Regolamento. Le prigioniere non avevano nomi ma numeri.
Al numero uno rispondeva Ludovica Del Piano, al due Cinzia
Pusceddu, al tre Donatella Pagani, al quattro Carla Cardia,
al cinque Maike Merten, al sei (un ruolo di particolare spicco)
Paola Steri, al sette Aurelia Ligas, all'otto Carla Orrù,
al nove Stefania Giua, al dieci Lena Vainio. Gli sgherri -
più convincenti sulla scena delle prigioniere se non
è ingeneroso dirlo - erano Aldo Orrù, Adriano
Murgia, Lino Ficicchia e Maurizio Costa. Sono quasi tutti
dei principianti usciti da un corso di recitazione dell'Akròama.
Più d'uno promette bene.
L'UNIONE SARDA, sabato 14 novembre 1987
Angelo Porru
DACCI LA NOSTRA TORTURA QUOTIDIANA
[
] Lo spettacolo è "The
brig", ottima prova del quasi esordiente Lucido Sottile,
nel teatrino "B" del Centro Akròama, ed i
toni perentori adoperati per descriverne le modalità
d'ammissione non sono fuori luogo. Perché lo spazio
dove trascorre un'ora abbondante di azioni serrate, all'ultimo
respiro, riassume cortili, celle, gabinetti e dormitori di
una prigione per marines. Una mostruosità correzionale,
che mira all'annullamento dell'uomo per distillare il soldato.
Ovvero l'esecutore pronto, cieco, automatizzato degli ordini
dei superiori. Però non tutti, nella prigione, meritano
l'attributo di mascolinità. Di sicuro, non lo si può
riconoscere ai reclusi, almeno in questa messinscena erede
di un esperimento rivoluzionario della storia del Living Theatre.
Le figure sfinite di fatica, che attendono la pattuglia di
spettatori distesi sui gradoni di una tribuna, rivelano infatti
fisionomie inequivocabilmente femminili. S'intravedono nell'oscurità,
alla fioca luce del milite-maschera, diventano certezze con
l'arrivo dei sorveglianti che accende una batteria di riflettori.
E' un'altra "gloriosa giornata nel corpo dei marines".
[
] Qui i soldati sono donne, i secondini esauriscono
tutta la partecipazione maschile ed i loro oltraggi sessuali
si caricano d'ambiguità indecifrabile. Facendo di necessità
scelta registica (la compagnia Lucido Sottile raccoglie gli
allievi del corso per attore del centro Akròama, in
maggioranza gentili signorine) Elisabetta Podda ha centrato,
nel suo esordio da direttore della messinscena, il nocciolo
racchiuso nell'esperienza del Living Theatre. La violenza
metodica dell'addestramento e delle sanzioni, premessa di
ogni "macchina per uccidere" sfornata sotto le armi,
esplode esasperata nei maltrattamenti al femminile. Ed il
pubblico, allineato ai bordi di uno spazio scenico senza barriere,
subisce quasi addosso i pugni nello stomaco e la tensione
insopportabile di una tortura quotidiana. Non è l'unico
merito di questo spettacolo, presentato come "prova di
lavoro" e cresciuto ormai al rango di opera compiuta
(già molto richiesta). Bisogna segnalare la complessa
efficacia di una colonna sonora affidata, dal vivo, ad armonie
e dissonanze vocali della protagonista. E complimentarsi,
senza nascondere la necessità di altri progressi, con
l'intero gruppo in scena. Impossibile citare i molti nomi,
ma basterà riconoscere ai loro sforzi il grosso successo
di non somigliare affatto ai rituali e patetici "saggi
di fine corso".
LA NUOVA SARDEGNA, venerdì 20
novembre 1987
Pippo Sagheddu
AKROAMA: LUCIDO SOTTILE IN "THE BRIG"
[
] Occorre dimenticare tutto quello
che può riguardare il teatro, nel senso classico del
termine, per poter capire questa rappresentazione. Dico questo
poiché sembrava di essere spettatori non al teatro,
ma dentro il carcere. Non sto sognando, e tantomeno sognavo
mentre seguivo "The brig"; ma è questa la
sensazione che provavo nell'assistervi. Mi esprimo in questi
termini perché la bravura degli attori e attrici era
talmente estrema che si sono perfettamente immedesimati, gli
uni nelle figure dei carcerieri, le altre in quelle delle
carcerate, che chiunque vi abbia assistito, presumo abbia
provato queste sensazioni. I maltrattamenti ai quali erano
sottoposte erano reali, sia sotto il profilo fisico che in
quello psichico. Soprattutto il lavaggio del cervello che
dovevano subire era accettato dalle attrici, quasi fossero
veramente loro le detenute. Le risposte ai comandi impartitigli
erano meccaniche, date da persone allineate e allucinate,
persone che ormai avevano perso qualsiasi loro peculiare carattere,
senza più personalità, erano dei numeri, ed
in quanto tali dovevano rispondere. [
]
SANLURI NOTIZIE, 30 novembre 1987
PRIGIONIERI SENZA MEMORIA
[
] Lo spettacolo è strutturato
come "giornata tipo" all'interno delle mura carcerarie.
Non ha evoluzione, non prevede inizio né fine; non
contiene riferimenti storici (un dépliant avverte appena
che le vicende portate in scena sono accadute ad Okinawa);
non necessita di momenti centrali od effetti a sorpresa. Privato
così di connotazioni specifiche, "The brig"
può agevolmente andare oltre la descrizione a tinte
forti di quali siano gli effetti di una disciplina militare
esasperata: l'atmosfera che crea non è pervasa, come
si potrebbe pensare, da crudeltà, stupidità,
odio. Non si avvertono, insomma, sensazioni definibili esattamente.
Si rinvengono sicuramente i caratteri ed i momenti che, come
già detto, contraddistinguono generalmente questo tipo
di situazioni, ma ci si rende subito conto che il sistema
di azioni e reazioni che si instaura tra i quattro secondini
e le dieci detenute, è retto da una serie di atti non
mediati dalla ragione o dettati da motivazioni personali,
e appare, in sostanza, come un continuum allucinato e indistinto,
spossante per chi lo vive, snervante per chi vi assiste. Comincia
con un marine in divisa che, con cortesia fredda e distratta,
prende in consegna il pubblico e lo conduce all'interno del
Brigantino, verificando che ciascuno spettatore sia in possesso
di un permesso speciale. Quando s'accende la luce, l'aspetto
della sala è desolante, squallido, sporco, innaturale.
Nove ragazze che dormono raggomitolate su delle tavole c'informano
che la giornata deve ancora iniziare. Non appena data la sveglia,
le prigioniere meccanicamente si rivestono e aspettano diligentemente
sull'attenti il consueto discorsetto mattutino del capoguardia
di turno. Apprendiamo dalle sue parole in cosa consista ciò
che noi "visitatori" chiamiamo regolamento del carcere,
ma che le detenute sembrano ormai accettare come qualcosa
di più di un insieme di norme, quasi come un unico
modus vivendi possibile. Non possono parlare tra loro; possono,
(nei casi in cui sia indispensabile), rivolgersi alle guardie,
ma parlando in modo impersonale ed a voce alta; devono chiedere
il permesso per attraversare le linee bianche tracciate all'ingresso
del campo e dei gabinetti. E, soprattutto, non posseggono
più personalità, né nome. Sono dei numeri.
[
]
NUOVA RINASCITA SARDA, gennaio 1988
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