8 luglio 

 Teatro Dei Naviganti 

Clò
di Domenico Cucinotta
regia di Domenico Cucinotta

Cristiana Minasi; Stefania Pecora; Mariapia Rizzo

 

 “Non c’è miglior modo per glorificare l’Onnipotente che ridacchiare con Lui dei suoi   scherzetti, specialmente quelli meno  riusciti…”

Così Winnie in giorni felici.

Siamo partiti da Beckett per metterci in cammino sulla strada di “Clo”, affascinati in primo luogo  dalla raggelante ironia che contraddistingue i suoi personaggi, e che ne fa (per volere stesso di Beckett che li chiama, latinamente “persone” –maschere, e non personaggi, nei suoi copioni) dei clown.

Avevamo voglia di parlare di temi talmente alti, da sembrare, alla resa dei conti, banali: ma questo è l’uomo. Un continuo arrovellarsi intorno ad un paio di domande fondamentali, quelle che lo tormentano intorno ai quindici anni, che lo rendono poeta ingenuamente retorico; poi  cerca di liberarsi dalla retorica, di trovare altre vie; e quelle stesse domande lo fanno sorridere della propria ingenuità adolescenziale. Ma di fatto non smettono di riproporsi, con l’aggravante  che ci si rende conto di condividere questi dubbi e stati d’animo con ogni altro essere vivente (persino con  la “greggia” si rende conto infine il leopardiano pastore errante). Che certi interrogativi non ci rendano unici, ma al contrario, ci accomunino con il resto dell’umanità, è a volte, una enorme disillusione.

E quindi ecco che si rende necessario ricorre all’ironia: per sorridere della propria condizione.

Da queste riflessioni nasce la figura del clown noir. In Clò sono tre i clown che vivono sulla scena.

E cosa fanno?

“Troviamo sempre qualcosa, vero Didi,   per darci l’impressione di esistere”

Il clown noir compie dalle azioni, che noi abbiamo ribattezzato “alien-azioni”, poiché molto spesso hanno davvero poco a che fare con chi le compie. Azioni secondarie, su cui il soggetto precipita la propria attenzione e che servono a rimandare, a dilazionare l’azione principale.

“Si continua a dilazionare…il momento dell’azione per paura di passare all’azione troppo presto….e il giorno passa...passa e va…nella più completa inazione…”

Qual è l’azione principale? Impossibile dirlo. Probabilmente  ricercare il senso di questo nostro passaggio sulla terra. Lo si cerca agendo molto, o paralizzandosi;

iper vitalismo o al contrario nichilismo, ma il nocciolo oscuro, la domanda, non cambia: che  ci faccio io qui? E’ possibile che non si trovi la risposta ne’ facendo ne’ rinunciando a fare: esistere è una stana cosa: è l’unico caso in cui la colpa e la condanna coincidono.

Ma non c’è dramma, nel modo in cui la scena di “Clò” parla di tutto questo. Solo un grottesco sorriso, talmente deformato da somigliare vagamente al pianto.

I tre clown noir sono tre donne, legate da una parentela insolita, sorelle figlie dello stesso padre e di madri diverse.  I ricordi che hanno del passato  comune sono confusi , forse anche in parte inventati. Sono rinchiuse da un tempo imprecisato in una stanza senza, per ripararsi, sembrano voler suggerire, da un vento che rende impossibile stare “fuori”.

Ma quel luogo, così profondo e protetto, si trasforma ben presto in una prigione. Diventa impossibile, andare fuori, allontanarsi . Ma da cosa è causata quest’impossibilità? Da un divieto esterno? Dalla paura di ritornare ad avere a che fare con l’ ”al di fuori”? Il momento di abbandonare la stanza viene dilazionato oltre misura ed in questa dilazione si dipanano le azioni e le relazioni delle tre in un eterno susseguirsi di giorni che pretendono di acquistare un senso.

 

Questo testo nasce da un lavoro di gruppo intenso e coinvolgente; ciascuno , come sempre accade in teatro, ha offerto una parte di se’ e della propria storia. Vorremmo comunque ringraziare Norberto, Alejandra e Diego, e loro sanno perché. Ed un pensiero più forte a Paoletta, che ha donato così tanto con la sua presenza, con il suo addio e che continua a donare anche nell’assenza.